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Umberto Animobono

La saga di Monte Capretta continua. È un tragitto narrativo avvincente. La fase sperimentale la puoi ritenere conclusa. Ora, senza fretta, devi passare dal racconto al romanzo. Sfruttare la tua inventiva, dagli episodi al linguaggio, usando il registro della leggerezza anche nel comunicare profondità evitando il tono moralistico. Le vite parallele di Hemingway e Moro sono state un buon viatico letterario che regalano suspense, le conversazioni feline una lodevole palestra. Ripescando dall'informatica, da gestore del programma devi allargarti al progetto. Forse stai già concludendo un altro racconto. Ciao

         




l'appuntato Arduino De Profundis,
nuovi personaggi e un altro caso da risolvere




Mingherlino ma con la pancia sporgente da bevitore di birra, la barba incolta e bianca, burbero e amante dei gatti: davvero Filippo non è l'eroe che vi aspettereste!

Eppure il suo lavoro è fondamentale: far morire definitivamente i defunti, sgomberando le loro case e facendo sparire gli oggetti che li hanno accompagnati per tutta la vita.

Questo è il lavoro di Filippo.

O meglio, lo era finché non si è occupato della casa del senatore Angelo Bellosguardo.

Tra fotografie, souvenir e mobili antichi, Filippo porterà alla luce un pericoloso segreto rimasto nascosto per quarant'anni, seppellito dal silenzio e dal tempo.

Un giallo in cui la narrazione di efferati crimini non esclude leggerezza, intrecciando indissolubilmente tragedia e irresistibile umorismo.





Filippo svolge un lavoro molto particolare: sgombera le case dei defunti, gettando via le cose che erano soliti usare o anche solo accarezzare con gli occhi, dando così loro la morte definitiva.

Ed è ciò che è chiamato a fare anche per il senatore Angelo Bellosguardo, deceduto da poco.

Fra mobili antichi e classici souvenir, Filippo trova però qualcosa di inaspettato: un manoscritto.

Un giallo, per l'esattezza. La storia è ambientata nel 1961 a Monte Capretta, un piccolo paese vicino Roma.

Il paesino viene sconvolto quell'anno dalla morte della bella e ricca Doralice, suicidatasi a casa sua durante una cena con ospiti.

Suo marito Euro, però, non è convinto che si sia trattato di suicidio, e organizza una nuova cena, esattamente un anno dopo la morte di Doralice e con gli stessi invitati di allora, per costringere il colpevole a confessare il delitto.

Chi potrà essere stato? Onorina, la dirimpettaia innamorata di Euro, e desiderosa di divenirne la consorte?

Benito, l'ambizioso sindaco di paese che aveva una relazione clandestina con Doralice?

O Antonio, una vecchia fiamma della defunta, che le doveva un'importante somma?

O, ancora, la sorella Agata, che alla sua morte erediterà una fortuna?

Chiunque sia, dovrà vuotare il sacco una volta messo alle strette.



Si chiamava Filippo e il suo mestiere, prima dei fatti che sto per raccontare, era quello di svuotare le case dei morti.

Mi spiego. Tutti hanno un parente che prima o poi muore.

Tutti si trovano prima o poi nella necessità di sgombrare la casa in cui era vissuto il defunto.

E tutti vogliono a quel punto disfarsi di ciò che gli apparteneva, ovvero, se preferite, vogliono 'gestire' le sue cose.

Le chiamo 'cose', ma impropriamente.

In realtà quelle non sono 'cose', sono la vita di quella persona.

Sono quegli oggetti che usava ogni giorno, i piatti su cui mangiava e i bicchieri con cui beveva.

Sono i suoi vestiti, anche quelli che non indossava da anni ma che conservava per un sentimento affettivo.

Sono le fotografie che amava di più, tanto da sentire il bisogno di incorniciarle e averle sempre sotto gli occhi.

Tanti soprammobili che nessuno metterebbe mai più su un ripiano di casa, ma che per il defunto rappresentavano ricordi e sensazioni che soltanto lui conosceva. A volte degli oggetti assolutamente inutili. Ninnoli, cianfrusaglie. Di tutto.

In quelle case, le case dei morti, finché rimarranno quelle 'cose' fluttuerà leggera, impalpabile, un'anima.

E invece: 'buttare, buttare tutto!' è di solito l'imperativo dei parenti.

Buttare tutto? Come si fa a buttare tutto?

È una grossa responsabilità, perché quando quelle 'cose' non saranno più nel luogo dove hanno vissuto per anni il defunto sarà davvero 'morto'. Una tristissima responsabilità.

Si chiamava Filippo. Filippo Scanu.

E il suo lavoro, prima dei fatti che sto per raccontare, consisteva nell'indegna e oscena operazione di far morire definitivamente chi morto lo era già.




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Gianfranco Sassu - 2019
gianfranco.sassu@libero.it